Inps, malattia e visite fiscali, le nuove regole dal 2015

In caso di malattia, vi sono diversi adempimenti che il dipendente deve svolgere, per dimostrare la legittimità della sua assenza.

In primo luogo, il lavoratore deve richiedere al medico curante l’invio telematico all’INPS del certificato, per qualsiasi tipo di assenza (anche della durata di mezza giornata), entro il giorno successivo a quello in cui è iniziato l’evento, e deve trasmettere copia cartacea o identificativo di tale documento al datore entro due giorni. In caso di mancata guarigione, dovrà poi richiedere, entro gli stessi termini, il certificato di prosecuzione della malattia. Se il professionista curante risultasse irreperibile, sarà valido il certificato rilasciato dalla Guardia Medica.

Per comprovare la legittimità dell’assenza, tuttavia, l’esibizione dell’attestazione medica non costituisce l’unico adempimento, ma vi è l’ulteriore obbligo di reperibilità ai fini della visita fiscale.

Si tratta di un accertamento, previsto dallo Statuto dei Lavoratori [1], atto a verificare non, come erroneamente si ritiene, la presenza del dipendente nel proprio domicilio, ma l’esistenza o meno della patologia per la quale è stata emessa certificazione.

Tale verifica può essere predisposta sia dal datore, che dall’Inps: sono previste, sia per i lavoratori pubblici che privati, differenti fasce di reperibilità e regole cui attenersi, che sono variate a partire dal 2015: conoscerle è molto importante, poiché, in caso di violazioni, si andrà incontro a sanzioni.

Per quanto concerne gli Statali ed il personale degli Enti Locali, la reperibilità è valida per l’intera settimana, festività comprese, nelle fasce orarie che vanno dalle 9:00 alle 13:00, e dalle 15:00 alle 18:00; pertanto, nei predetti orari, i soggetti interessati dovranno farsi trovare presso il domicilio indicato nel certificato, ed attendere la visita del medico fiscale.

Sono presenti, poi, alcune regole particolari per il personale del comparto scuola [2]: difatti, il Dirigente Scolastico può richiedere visite fiscali sin dal primo giorno , solo per assenze immediatamente precedenti o successive a quelle non lavorative (non solo festivi o domeniche, ma anche giorni liberi).

Rispetto agli Statali, i privati hanno sempre il vincolo di reperibilità, anche durante festivi e week-end, ma con fasce orarie che partono dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 17:00 alle 19:00.

Non esiste obbligo di reperibilità, invece, né per pubblici, né per personale privato, in caso di malattie nelle quali è a rischio la vita del lavoratore, d’infortunio sul lavoro, patologie per causa di servizio, gravidanza a rischio, eventi morbosi correlati all’invalidità attestata e, naturalmente, ricovero ospedaliero.

Il medico fiscale ha il compito di verificare, anzitutto, l’esistenza della patologia, nonché di analizzarla, assieme alle condizioni generali del soggetto: ha facoltà di protrarre la diagnosi di 48 ore, nonché di variarla e di consigliare al lavoratore una visita specialistica.

In caso di riduzione della prognosi, dovrà essere fornita una dettagliata motivazione; il dipendente avrà, conseguentemente, l’obbligo di rientrare al lavoro nel giorno indicato dal medico fiscale.

In caso di assenza immotivata o d’impossibilità all’accesso o al controllo entro le fasce di reperibilità, al lavoratore verrà negato il 100% della retribuzione per i primi 10 giorni di patologia, ed avrà diritto, per le giornate successive, solo al 50% della retribuzione. Vi sono comunque 15 giorni di tempo per fornire una giustificazione in merito all’assenza.

Può capitare, ad esempio, che il soggetto debba allontanarsi per sottoporsi a prestazioni, visite o accertamenti diagnostici: in questo caso, dovrà fornire una comunicazione preventiva al datore o all’amministrazione , ed utilizzare, come giustificativo, l’attestazione di quanto effettuato.

Non possono essere, invece, invocati a propria difesa il malfunzionamento del citofono, i difetti uditivi personali, o l’effettuazione di qualsivoglia incombenza: la Cassazione, difatti, ha stabilito ormai da tempo [3] il principio per cui è responsabilità del dipendente ridurre al minimo i disagi e predisporre ogni accorgimento utile per consentire l’effettuazione della prestazione da parte del medico.

Una volta che il lavoratore sia risultato assente dal proprio domicilio, la successiva visita ambulatoriale, alla quale avrà il dovere di presentarsi, non costituisce una giustificazione dell’assenza, ma è preordinata alla sola verifica della patologia: pertanto, le sanzioni , pur sussistendo l’evento morboso, saranno comunque applicabili.

Cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mobilità e solidarietà: ecco cosa cambia neI sussidi sociali dopo l'approvazione definitiva del decreto attuativo del Jobs Act sugli ammortizzatori sociali.

Si chiama Naspi (nuova assicurazione sociale per l'impiego) ed è un ammortizzatore sociale nato con l'approvazione del Jobs Act, la riforma del lavoro del governo Renzi. Da maggio, i dipendenti italiani che restano disoccupati avranno diritto a ricevere un nuovo sussidio che unifica e sostituisce quelli attualmente esistenti (Aspi e Mini-Aspi). Non mancano però le polemiche sulle coperture finanziarie destinate a questo sussidio e sul meccanismo di calcolo dell'indennità, che risulta penalizzante per alcune categorie di lavoratori precari, come gli stagionali. Ma ecco, di seguito, una panoramica su come funziona la Naspi e sulle polemiche che l'accompagnano.

Quando partirà

Il nuovo sussidio alla disoccupazione debutterà in primavera e sarà destinato a chi perde il posto dal 1° maggio 2015 in poi. Sostituirà le indennità per i senza lavoro attualmente in vigore, cioè l'Aspi e la mini-Aspi.

A chi spetta

I requisiti per avere l'assegno sono più o meno gli stessi previsti oggi per ottenere l'Aspi e la mini-Aspi. Innanzitutto, il lavoratore deve essere stato assunto con un contratto da dipendente e trovarsi in uno stato di disoccupazione involontaria, cioè deve aver perso il proprio posto senza aver presentato dimissioni spontanee (a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa o di un accordo per la fuoriuscita consensuale dall'azienda, in caso di esuberi). Inoltre, il disoccupato deve avere alle spalle almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 48 mesi (4 anni) e aver svolto almeno 18 giorni di lavoro nell'anno precedente. Chi non possiede questi requisiti, non può beneficiare della Naspi.

L'importo dell'assegno

L'ammontare dell'assegno è pari all'incirca al 75% della retribuzione media degli ultimi 4 anni, per la parte di stipendio che non supera i 1.195 euro. Per la quota di salario che oltrepassa questa soglia, invece, l'indennità si riduce al 25%. Per tutti i sussidi è previsto comunque un tetto massimo di 1.300 euro lordi, leggermente più alto di quello in vigore oggi per l'Aspi (che arriva sino a un massimo di 1.165 euro lordi). L'assegno si riduce del 3% ogni mese, ma soltanto a partire dalla quarta mensilità. Per i primi 3 mesi, si ha diritto a ricevere l'intero sussidio.

Durata fino a due anni

L'assegno viene liquidato per un periodo massimo pari alla metà delle settimane lavorate negli ultimi 4 anni. Dunque, chi ha avuto un impiego continuativo per tutto il quadriennio, può ricevere l'indennità per un massimo di 24 mesi. Dal 2017, questo limite scenderà però a un anno e mezzo. Non sono previste durate differenti a seconda dell'età del beneficiario, come avviene oggi per l'Aspi (che si protrae di regola per 10 mesi ma può coprire fino a 18 mensilità, se il disoccupato ha più di 55 anni).

Stagionali penalizzati

Per quanto riguarda la durata dell'indennità, bisogna tener conto di una norma contenuta nel decreto istitutitivo della Naspi, che rischia di penalizzare fortemente chi ha avuto degli impieghi discontinui, a tempo determinato o stagionali. L'articolo 5 stabilisce infatti che, nel calcolo della durata del sussidio, non si terrà conto dei periodi di lavoro precedenti, per i quali il dipendente ha già beneficiato dell'assegno di disoccupazione.  Esempio: se nell'ultimo quadriennio un lavoratore ha ottenuto un contratto di assunzione di 7-8 mesi ogni anno, quando verrà licenziato avrà in teoria diritto a un sussidio di soli 3-4 mesi. Nel calcolare la durata dell'indennità, infatti, non si terrà conto dei precedenti periodi di lavoro per i quali sono già stati pagati degli assegni di disoccupazione. Si tratta di un meccanismo meno vantaggioso rispetto a quello attualmente in vigore per l'Aspi ordinaria, che viene riconosciuta per almeno 10 mesi a chiunque abbia versato almeno un anno di contributi contro la disoccupazione nell'ultimo biennio, anche se con contratti precari e discontinui.

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