FAMIGLIA DI FATTO

NOZIONE: per famiglia di fatto si intende l'unione stabile e duratura di una coppia, con o senza prole, che per scelta o necessità, decide di non affidare la stabilità del rapporto ad un vincolo matrimoniale. Non è sufficiente la semplice coabitazione, essendo necessario che ricorra una relazione interpersonale, con carattere di stabilità, di natura affettiva e parafamilare che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale (Trib. Torino 14.1.2009, n. 449).

DISCIPLINA: la convivenza di due persone, le quali abbiano instaurato tra loro rapporti affettivi e solidaristici e vivano in comunione di vita, in situazione analoga a quella prevista per il matrimonio, non è regolata dalla legge. Nell'ambito del dibattito tra famiglia fondata sul matrimonio e famiglia di fatto vengono richiamati gli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione. E precisamente l'art. 2 della Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, l'art. 29 che afferma che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia fondata sul matrimonio e l'art. 30 che tutela i figli nati fuori dal matrimonio. L'art. 29 della Costituzione non nega dignità a forme naturali del rapporto di coppia diversa dalla struttura giuridica del matrimonio, ma riconosce alla famiglia fondata sul matrimonio una dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e di doveri, che nascono soltanto dal matrimonio.

OBBLIGHI TRA I CONVIVENTI: tra i conviventi more uxorio non sorgono reciproci diritti e doveri di fedeltà, assistenza e collaborazione, in quanto in assenza di un vincolo giuridico non sono applicabili gli obblighi previsti dall'art. 143 c.c. previsti per i coniugi. Le obbligazioni di assistenza e collaborazione tra conviventi vengono configurate come obbligazioni naturali ovvero come adempimento spontaneo di doveri morali e sociali non tutelabili in sede giudiziaria. Le attribuzioni del convivente di fatto alla compagna durante la convivenza more uxorio sono inquadrabili nella fattispecie delle obbligazioni naturali in quanto effettuate per soli motivi di affetto e di solidarietà (Trib. Bologna 20.12.2006, n. 2841).

RAPPORTI PATRIMONIALI: sono ammissibili e validi i contratti aventi ad oggetto la regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i partners di una famiglia di fatto. Tali contratti volti a regolamentare interessi meritevoli di tutela che si individuano nella volontà e nella necessità di dare un assetto equilibrato sul piano patrimoniale al rapporto di convivenza more uxorio sono da considerarsi atipici ex art. 1322 c.c. (Trib. Savona 24.06.2008, n. 549).

OBBLIGO ALIMENTARE: al convivente more uxorio non è riconosciuto né il diritto al mantenimento né quello agli alimenti. Il convivente more uxorio non è inserito ex art. 433 c.c. tra i soggetti obbligati a corrispondere gli alimenti.

DIRITTI SUCCESSORI: al convivente more uxorio sono negati i diritti successori. La Corte Costituzionale ha espressamente ritenuto che il convivente non può essere assimilato al coniuge nei rapporti mortis causa (Corte Cost. 310/1989)

SUCCESSIONE NEL CONTRATTO DI LOCAZIONE: il convivente more uxorio rientra tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione ad uso abitativo nei seguenti casi:
 

morte del conduttore,

cessazione della convivenza qualora via sia prole (Cort. Cost. n. 404/1988).

È esclusa la successione in caso di cessazione della convivenza quando manchi la prole.

Poiché lo scopo dell'articolo 6 della legge n. 392/1978 è quello di garantire un'abitazione ai residui componenti della comunità familiare o parafamiliare il diritto del coniuge, del convivente more uxorio, degli eredi, dei parenti e degli affini, alla successione nel contratto di locazione è subordinato alla condizione dell'abituale convivenza con il conduttore defunto.

L'abituale convivenza con il conduttore defunto va accertata alla data del decesso di costui, a nulla rilevando che gli aventi diritto alla successione nel contratto siano o meno rimasti nell'alloggio locato dopo la morte del dante causa, giacché la successione per causa di morte nel contratto di locazione è fatto giuridico istantaneo che si realizza (o non si realizza) all'atto stesso della morte del conduttore, restando insensibile agli accadimenti successivi (Cass. 1.8.2000, n. 10034).

Ai fini della prova dell'abituale convivenza e, quindi, della comunanza di vita con il conduttore, non è sufficiente il certificato storico-anagrafico che ha un valore meramente presuntivo della comune residenza ivi annotata (Cass. 3.10.1996, n. 8652).

ELARGIZIONI: effettuate da un convivente in favore dell'altro vengono inquadrate nell'ambito dello schema dell'obbligazione naturale che in favore del beneficiario consente l'irripetibilità di quanto è stato dato, oppure nella liberalità d'uso disciplinata dall'art. 770, secondo comma, c.c. dovendo in questo caso l'elargizione uniformarsi sotto il profilo della proporzionalità alle condizioni economiche dell'autore dell'atto, agli usi e costumi propri di una determinata occasione (Cass. n. 11894/1998, Trib. Palermo 3.9.1999).

OBBLIGHI NEI CONFRONTI DEI FIGLI: i genitori assumono nei confronti dei figli tutti i doveri di mantenimento, istruzione, educazione ed assistenza nel rispetto delle loro capacità, delle loro inclinazioni naturali e delle loro aspirazioni (art. 315 bis c.c.). 

OBBLIGO DI MANTENIMENTO: Per stabilire la ripartizione tra i genitori degli oneri di mantenimento dei figli occorre fare riferimento alle disposizioni dell'art.  316 bis c.c. secondo cui entrambi i genitori sono tenuti al mantenimento del figlio in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo e ciascuno ha il dovere di fare tutto il possibile perché il figlio abbia quanto gli occorre anche nel caso in cui l'altro genitore si renda inadempiente. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli (art. 316 bis c.c.).

 

Le norme degli artt. 337-ter -337-quater, 337-quinquies-337-sexies-337-septies e 337-octies del codice civile sono applicabili anche alle situazioni di rottura delle coppie di fatto con figli (art. 337 bis c.c.).

 

Il rapporto che si instaura tra genitore e figlio nell'ambito della famiglia di fatto ha i medesimi caratteri e contenuti morali e materiali del legame tra genitore e figlio nella famiglia fondata sul matrimonio. 

 

Ne consegue che, in caso di rottura della convivenza tra i genitori, i rapporti tra genitori e figli, dovranno regolarsi in termini identici, sia per l'affidamento che per il mantenimento.

Ciascun genitore, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, deve provvedere alla soddisfazione dei bisogni degli figli in misura proporzionale al proprio reddito e il giudice può disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, il quale, in caso di affidamento condiviso con collocamento prevalente presso uno dei genitori, può essere posto a carico del genitore non collocatario, atteso il disposto del secondo comma dell'articolo 337-ter c.c., nella parte in cui prevede che la determinazione dell'assegno avvenga anche considerando i tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore. (Cass. 4.11.2009, n. 23411).

Ovviamente l'accordo raggiunto e liberamente sottoscritto dai genitori può prevedere una ripartizione nel concorso degli oneri anche non proporzionale tra gli stessi ma comunque non deve essere contrario all'interesse dei figli. Il giudice, difatti, prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori se non contrari all'interesse dei figli (art. 337 ter, comma 2, cc.).

ASSEGNO DI MANTENIMENTO:  il giudice, ove necessario, al fine di realizzare il principio di proporzionalità può determinare un assegno periodico a carico di un genitore e a favore dei figli  prendendo in considerazione:

 

 

• le attuali esigenze del figlio;

• il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

• i tempi di permanenza presso ciascun genitore,

• le risorse economiche di entrambi i genitori 

• la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

 

Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi (art. 337 ter, ult. comma c.c.).

 

ADEGUAMENTO ISTAT: l'assegno di mantenimento deve essere automaticamente adeguato agli indici Istat in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice (art. 337 ter, comma 5, c.c.). 

 

ASSEGNO PER I FIGLI MAGGIORENNI: l'obbligo dei genitori di mantenere la prole che incombe su entrambi i genitori in proporzione delle rispettive sostanze, non cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, ma perdura, immutato, sino a quando il medesimo non abbia raggiunto un'indipendenza economica, ovvero abbia concorso colpevolmente alla determinazione della propria non autosufficienza economica. Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico, che salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto (art. 337 septies c.c.). Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori (art. 337 septies, comma 2, c.c.).

 

RESIDENZA ABITUALE DEL MINORE: La scelta della residenza abituale del minore deve essere assunta di comune accordo da entrambi i genitori e in caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice (art. 337-ter, comma 3, c.c.).

 

PRESCRIZIONI IN TEMA DI RESIDENZA: Secondo quanto previsto dal nuovo articolo 337-sexies c.c., introdotto dal decreto legislativo n.154/2013, in presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto (art. 337-sexies, comma 2, c.c.).

 

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE: la disciplina sull'assegnazione della casa familiare dettata dall'art. 337-sexies c.c. è applicabile ai figli dei genitori non coniugati (art. 337-bis c.c.). In caso di scioglimento del rapporto tra conviventi il godimento della casa familiare è attribuito tenendo proritariamente conto dell'interesse dei figli (art. 337-sexies c.c.) . L'equiparazione sotto questo profilo tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio era già stata operata dalla Consulta che al riguardo aveva statuito che in caso di scioglimento del rapporto tra conviventi la casa familiare va assegnata al genitore al quale sono affidati i figli minorenni e quelli maggiorenni privi di reddito per motivi indipendenti dalla loro volontà (Corte Cost. n. 166/1998).

Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente la casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio (art. 337-sexies, c.c.).

 

Secondo la previsione dell'art. 337-sexies   il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c.

 

A garanzia dei diritti dei figli nati fuori del matrimonio e del genitore ex convivente more uxorio era già stato riconosciuto il diritto del genitore affidatario della  prole naturale ad ottenere la trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare (Corte Cost. 21.10.2005, n. 394).

 

ASSEGNI FAMILIARI: il diritto agli assegni familiari spetta al genitore di figli naturali riconosciuti.

Poiché la normativa sull'assegno richiede la condizione di figlio riconosciuto e non anche necessariamente l'inserimento nella famiglia fondata sul matrimonio, il genitore ha diritto a percepire gli assegni familiari per i figlinati fuori del matrimonio riconosciuti anche quando sia ancora legato in matrimonio con altra persona dalla quale non è neppure legalmente separato (Cass. 18.6.2010, n. 14783).

AFFIDAMENTO DEI FIGLI: per l'affidamento dei figli in caso di cessazione della convivenza di fatto trova applicazione la disciplina di cui agli articoli 337-ter e 337 quater c.c. applicabile nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio (art. 337-bis c.c.).  

I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo (art. 337-quinquies c.c.). 

 

CONVIVENZA E PROCREAZIONE ASSISTITA: possono ricorrere alle tecniche per superare problemi di sterilità le coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi (art. 5, legge n. 40/2004). Quindi i conviventi ove siano afflitti da problemi di sterilità possono accedere alla procreazione medicalmente assistita.

Per l'accertamento della convivenza il medico si avvale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti (art. 13, comma 3, legge n. 40/2004). In caso di dichiarazioni mendaci trova applicazione il primo comma dell'art. 76 del Testo Unico n. 445/2000 che afferma che chiunque rilasci dichiarazioni mendaci è punito ai sensi del codice penale, nonché il secondo comma del citato articolo secondo cui l'esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti al vero equivale all'uso di atto falso.

L'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è vietato ai minorenni, ai singoli ed alle coppie omosessuali, nonché è impedita la fecondazione post mortem ovvero utilizzando il seme del convivente o del coniuge nel frattempo morto e l'accesso alla genitorialità tardiva (art. 5, legge n. 40/2004).

FAMIGLIA DI FATTO E ADOZIONE:

l'adozione nazionale ed internazionale di minori di età è preclusa alle famiglie di fatto.

La legge consente l'adozione solo ad una coppia di coniugi uniti in matrimonio benché consenta la possibilità di tener conto di una convivenza stabile e continuativa tra i coniugi antecedente al matrimonio (artt. 6 e 29-bis, legge 4.5.1983, n. 184).

È consentita, invece, ai coniugi, ai singoli nonché a chi non sia coniugato l'adozione in casi particolari di cui all'art. 44 della legge sull'adozione nei seguenti casi:
 

• persone unite al minore da parentela fino al sesto grado, ovvero da rapporto stabile e duraturo quando il minore sia orfano di padre e di madre (lett. a), legge n. 184/1983);

• i minori si trovino nelle condizioni indicate dall'art. 3 della legge n. 104/92 e siano orfani di entrambi i genitori (lett. c), legge n. 184/1983);

• sia constatata l'impossibilità dell'affidamento preadottivo (lett. d), legge n. 184/1983).

GRATUITO PATROCINIO: in tema di patrocinio dei non abbienti, per la determinazione dei limiti di reddito ai fini dell'ammissione occorre tenere conto, ex art. 76, D.P.R. n. 115 del 2002, della somma dei redditi facenti capo all'interessato e dagli altri familiari conviventi: tra questi vi rientra il convivente more uxorio (Cass. n. 109/2006).

ANAGRAFE DELLE FAMIGLIE DI FATTO: l'anagrafe della popolazione residente è tenuto presso ogni Comune. Nel registro dell'anagrafe devono essere registrate anche le posizioni relative alle persone senza fissa dimora le quali abbiano stabilito nel comune il proprio domicilio.

Per famiglia anagrafica si intende un insieme di persone abitualmente coabitanti, le quali siano legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o anche meramente affettivi (art. 4, Reg. attuazione D.P.R. 30.5.1989, n. 223).

Benché le famiglie di fatto costituiscono una delle possibili tipologie di famiglie anagraficamente registrabili, i Comuni possono istituire registri appositi proprio per la registrazione delle famiglie di fatto. In alcuni Comuni quali Arezzo, Bolzano, Bari, Fano, Ferrara, Firenze, Gallarate, Perugia, e di recente anche Livorno sono istituiti registri delle unioni civili la cui scelta di non discriminare le unioni di fatto ha riflessi in alcune materie di competenza quali ad esempio l'attribuzione di sussidi scolastici, assegnazione delle case popolari ecc.

TUTELA PENALE

ASTENSIONE DALL'OBBLIGO DI TESTIMONIARE: il convivente more uxorio dell'imputato rientra tra i soggetti che hanno la facoltà di astenersi dal testimoniare.

I prossimi congiunti dell'imputato possono astenersi dall'obbligo di testimoniare salvo quando hanno presentato denuncia, querela o istanza ovvero essi o un loro prossimo congiunto sono offesi dal reato (art. 199 c.p.p.). Il giudice deve, a pena di nullità (non rilevabile d'ufficio e deducibile nei termini previsti dall'art. 181 c.p.p.), avvisare tali persone della facoltà di astenersi chiedendo loro se intendono avvalersene.

Tali disposizioni si applicano anche a chi è legato all'imputato da vincolo di adozione e limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza coniugale:
 

a) a chi, pur non essendo coniuge dell'imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso;

b) al coniuge separato dell'imputato;

c) alla persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l'imputato (art. 199, comma 3, c.p.p.).

L'elencazione delle persone che hanno facoltà di non deporre per effetto di rapporti di parentela non è suscettibile di interpretazione estensiva.

RICHIESTA DI GRAZIA: il convivente è tra le persone legittimate a presentare domanda di grazia al Presidente della Repubblica. La domanda di grazia diretta al Presidente della Repubblica è sottoscritta dal condannato o da un suo prossimo congiunto o dal convivente o dal tutore o dal curatore ovvero da un avvocato o procuratore legale ed è presentata al Ministro di grazia e giustizia (art. 681 c.p.p.).

MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA: la norma penale di cui all'art. 572, comma 1, c.p. che punisce chiunque maltratta una persona della famiglia, viene utilizzato per offrire tutela non solo alla famiglia fondata sul matrimonio ma anche alla convivenza more uxorio. Il reato è configurabile anche al di fuori della famiglia fondata sul matrimonio in presenza di un rapporto, di stabile convivenza, come tale suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza, senza che sia richiesto che tale convivenza abbia una certa durata, quanto, piuttosto che sia stata istituita in una prospettiva di stabilità, quale che sia stato poi in concreto l'esito di tale comune decisione (Cass. pen. 8.11.2005).

Il delitto di maltrattamenti sussiste soltanto se l'agente non si limita, per motivi contingenti, a sporadici comportamenti di aggressione fisica o morale del soggetto passivo, ma sottopone questo a una serie di sofferenze fisiche e morali, in modo che i singoli atti siano uniti tanto da un legame di abitualità (elemento oggettivo) quanto da un'unica intenzione criminosa (elemento soggettivo) (Cass. pen. 24.9.2010, n. 34701).

Il reato è procedibile d'ufficio e il tribunale monocratico è l'autorità giudiziaria competente per la fattispecie del reato di maltrattamenti.

 

LE SEGUENTI INFORMAZIONI SONO STATE TRATTE DA LEX24

Le coppie di fatto sono sempre più numerose. I dati ISTAT riportano, già da quattro anni, il dato di un considerevole calo dei matrimoni, e la preferenza delle coppie più giovani per una unione non formalizzata.

Si tratta di una scelta personale legata a motivazioni di varia natura. Sta di fatto, però, che quando la coppia scoppia, nascono le sorprese e il partner più debole economicamente non può contare su alcuna protezione da parte dell’ordinamento.

L’attuale normativa discrimina, infatti, le coppie di fatto rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio.

Nonostante il fenomeno della famiglia di fatto sia in costante crescita e si siano fatti passi avanti prevedendo qua e là taluni diritti settoriali, manca a tutt’oggi una equiparazione di trattamento tra partners non sposati e coniugi.

Nessuna disparità di trattamento, invece, per i figli nati da genitori non uniti in matrimonio: è questa l’importante novità introdotta con la recente legge n. 219 del 2012, entrata in vigore il 1 gennaio 2013.

 

Varietà di situazioni

 

Le ‘famiglie di fatto’, dunque, hanno le stesse caratteristiche di una “normale” famiglia, con la differenza che, non essendo ufficializzate dal matrimonio, rimangono irrilevanti per l’ordinamento.

Le conseguenze sono pesanti per il partner debole. Prendiamo il caso di una giovane donna priva di occupazione lavorativa, la quale decida di convivere, e che dopo alcuni anni di convivenza, venga lasciata dal proprio compagno: tutte le certezza e le aspettative nutrite fino a quel momento verranno meno.

La giovane donna si ritroverà senza alcun diritto a ricevere dall’ ex compagno un assegno di mantenimento (neppure in misura minima), e senza alcuna possibilità di rimanere a vivere nella casa familiare che appartenga in proprietà all’ex convivente. Nulla di nulla, insomma.

Ma, consideriamo il diverso caso in cui da quell’unione di fatto siano nati figli, riconosciuti da entrambi i genitori: essi godranno degli stessi diritti dei figli nati da genitori coniugati, senza alcuna differenziazione e ciò anche con riguardo all’abitazione nella casa familiare.

Potrà, allora, verificarsi che il genitore economicamente più debole, per esempio la giovane donna di cui abbiamo detto sopra, si ritrovi a continuare a vivere nella casa familiare, di proprietà dell’ex compagno, se il giudice disporrà che il figlio rimanga a vivere in modo stabile con la madre.

Come regolare l’affidamento e il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio

 

I figli, dunque – vale ribadirlo – hanno gli stessi identici diritti, sia nel caso in cui i genitori siano sposati sia nel caso in cui questi convivano.

Allo stesso modo, uguali sono i doveri dei genitori nei confronti dei propri figli, a prescindere dal fatto che i figli siano stati generati o meno nel matrimonio.

Oggi, poi, e precisamente dal 1 gennaio 2013, sono venute meno anche quelle residue differenze di trattamento che erano rimaste; ci riferiamo all’ambito successorio e a tribunale competente a regolamentare affidamento, rapporti genitori-figli e mantenimento.

Mentre, infatti, fino a tutto il dicembre 2012, i genitori non sposati dovevano rivolgersi al Tribunale per i Minorenni, oggi la competenza spetta in via generalizzata al Tribunale ordinario; e ciò comporta tutta una serie di vantaggi e di garanzie sul piano della salvaguardia dei diritti.

 

Importanza dell’ intervento del giudice

 

Seppure non sussista alcun obbligo in tal senso, è consigliabile chiedere al Tribunale di regolamentare l’affidamento dei figli, i rapporti tra questi e i rispettivi genitori e l’obbligo genitoriale di mantenimento. E questo vale anche nel caso in cui i due genitori raggiungano tra loro un accordo.

Qualora, infatti, l’accordo venga soltanto formalizzato in una scrittura privata, senza cioè la ratifica del giudice, esso non vincolerà le parti sul piano giuridico. Di conseguenza, se uno dei due genitori ometterà di osservare le condizioni riportate nell’accordo, l’altro non potrà pretenderne il rispetto. Diversamente, ottenuta la ratifica del giudice, ciascuno dei genitori avrà in mano un vero e proprio provvedimento avente valore legale e vincolante.

Fondamentali sono, in ogni caso, il contenuto e la formulazione delle singole clausole dell’accordo: una formulazione vaga o interpretabile in più sensi potrà, infatti, essere fonte di gravi incomprensioni e contenziosi futuri; e questo potrebbe succedere anche se l’accordo sembri, a prima vista, ‘perfetto’.

Dunque, al fine di raggiungere un “accordo che tenga” (come suol dirsi) è sempre consigliabile affidarsi ad un avvocato competente in materia.

Qualora, invece, un accordo non venga raggiunto, per le più varie ragioni, l’intervento del giudice dovrà essere attivato al fine di ottenere una adeguata disciplina dei rapporti reciproci (genitori e figli). Ed è forse superfluo dire che, anche in tal caso, affidarsi a professionisti competenti è fondamentale.

 

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IL DIRITTO DI ABITAZIONE DEL CONIUGE SUPERSTITE NEL GIUDIZIO DI DIVISIONE

Secondo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 540 del codice di procedura civile, al momento della morte di uno dei coniugi al coniuge superstite è riconosciuto il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare oltre all’uso dei mobili che la corredano, a condizione che essa sia di proprietà del coniuge defunto o in comunione. Tale diritto è riconosciuto anche in presenza di altri chiamati all’eredità.

Nel caso in cui si dovesse arrivare allo scioglimento giudiziale della comunione dei beni ereditari con gli altri gli altri chiamati all’eredità, il coniuge superstite ha la preferenza nell’assegnazione della casa familiare?

Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4889/2020, pubblicata il 24/02/2020.

IL CASO: La vicenda trae origine dall’appello promosso dal coniuge superstite avverso la sentenza del Tribunale emessa nell’ambito del giudizio di divisione della comunione ereditaria. L’appellante censurava la decisione di primo grado in quanto, nel disporre la divisione, il giudicante non aveva tenuto conto della circostanza che su un immobile facente parte della comunione ereditaria essa, in qualità di coniuge del defunto, era titolare del diritto di abitazione.

La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte di Appello.

Pertanto, la vertenza giungeva all’esame della Corte di Cassazione a seguito del ricorso promosso dall’originaria appellante la quale, fra l’altro, denunciava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1022 del codice civile secondo il quale “Chi al diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”, per non aver il giudice di appello tenuto conto dell’esistenza del suo diritto di abitazione su uno dei cespiti oggetto della divisione.

LA DECISIONE: Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, affermando che nell’ambito del giudizio di divisione non costituisce criterio di preferenza ai fini dell’eventuale attribuzione l’esistenza del diritto di abitazione di uno dei condividenti su uno dei beni comuni spettante al coniuge superstite ai sensi del secondo comma dell’art. 540 c.p.c.

Pertanto, secondo gli Ermellini, il giudizio di divisione si potrà concludere con l’attribuzione del bene ad altro condividente, fermo restando il diritto di abitazione, sempre che già gravasse sulla cosa prima della divisione.

Corte di Cassazione|Sezione 6 2|Civile|Ordinanza|| 24 febbraio 2020 n. 4889

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Mi rifiuto di cedere l'incentivo di una sovvenzione.
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l'emozione del successo all'insipida calma dell'utopia.
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