SCORRI IN BASSO FINO AD INDIVIDUARE L'ARGOMENTO SELEZIONATO
Impugnazione delibera assembleare - Forma
È l’atto di citazione il mezzo più idoneo per impugnare le delibere condominiali
Corte di cassazione - Sezioni Unite civili - Sentenza 1° marzo-14 aprile 2011 n. 8491
(Presidente Vittoria; Relatore Bucciante; Pm - conforme - Iannelli;
Ricorrente Zanchi e altro; Controricorrente Condominio Paola)
Comunione e condominio - Delibera condominiale - Impugnazione - Con atto di citazione - Validità - Sussiste. (Cc, articolo 1137; Cpc, articolo 163)
L’articolo 1137 del Cc non disciplina la forma delle impugnazioni delle deliberazioni condominiali, che vanno pertanto proposte con citazione entro il termine di trenta giorni, in applicazione della regola dettata dall’articolo 163 del Cpc e, ove venga impropriamente utilizzato il mezzo del ricorso, il suddetto termine va osservato con riferimento alla data di deposito del ricorso stesso in cancelleria.
L'impugnazione della deliberazione di approvazione del rendiconto: le contestazioni non possono riguardare le scelte dell'assemblea
La Cassazione, con la sentenza n. 5254, resa lo scorso 4
marzo, è tornata ad occuparsi dell'impugnazione delle deliberazioni condominiali aventi ad oggetto l'approvazione del "bilancio condominiale" e dei motivi che possono essere posti alla base di tale
impugnazione. Prima di esaminare che cos'ha affermato il Supremo Collegio, pare utile riprendere brevemente la nozione di rendiconto condominiale.
Il rendiconto di gestione è il documento contabile che l'amministratore, ogni anno (art. 1130, secondo comma, c.c.), deve presentare all'assemblea per la sua approvazione (art. 1135, primo comma n. 3
c.c.). L'assise può adottarlo: a) in prima convocazione con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti alla riunione che rappresentino almeno la metà del valore dell'edificio; b) in
seconda convocazione, invece, è sufficiente "un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio" (art. 1136 secondo e terzo comma,
c.c.). Una volta adottato il rendiconto di gestione è obbligatorio per tutti i condomini al punto che, sulla sua base, l'art. 63, primo comma, disp. att. c.c. legittima l'amministratore ad agire
giudizialmente al fine di chiedere ed ottenere il pagamento delle somme dovute da parte dei condomini morosi (il così detto decreto ingiuntivo di pagamento delle somme condominiali). Al pari d'ogni
altra deliberazione, comunque, anche quella di approvazione del rendiconto annuale di gestione può essere impugnata. Nel caso di decisione assembleare annullabile, il ricorso all'Autorità Giudiziaria
dovrà essere presentato entro 30 giorni dalla sua adozione (per i dissenzienti e gli astenuti) o comunicazione (per gli assenti, cfr. art. 1137 c.c.). Le deliberazioni nulle, invece, potranno essere
impugnate in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse.
Per quali motivi, i condomini possono contestare il rendiconto di gestione? E' questo uno dei punti sui quali la Cassazione, con la sentenza citata in principio, s'è espressa. Secondo gli "ermellini" "la deliberazione dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall'art. 1137 c.c., comma 3 non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell'impugnazione della delibera, da considerarsi, perciò, annullabile […]" (così Cass. 4 marzo 2011 n. 5254). Sul punto è bene chiarire alcuni aspetti. A tale scopo un esempio tornerà utile. Si pensi all'assemblea che nell'approvare il rendiconto ratifichi l'operato dell'amministratore (e quindi la relativa spesa) in relazione ad un intervento urgente di manutenzione straordinaria inerente le parti comuni. Il condomino contrario potrà contestare quel punto della deliberazione in relazione alle maggioranze necessarie ad approvarlo o al criterio di ripartizione delle spese prescelto ma non per ciò che concerne l'opportunità di eseguire quell'intervento. L'assemblea è sovrana nelle decisioni riguardanti le parti comuni e nessuno, nemmeno l'Autorità Giudiziaria, può sindacare le scelte discrezionali dell'assise condominiale. Diverso il caso di spese extracondominiali inserite nel rendiconto di gestione della compagine. In tal caso la deliberazione di approvazione del documento contabile sarà nulla e come tale impugnabile in ogni tempo
E' più facile vendere il box auto
Semplificazioni e liberalizzazioni del Governo hanno toccato anche la circolazione dei parcheggi. La disciplina relativa a posti auto e garage è stata resa più elastica, ma resta comunque articolata e complessa, in virtù (o vizio) della stratificazione di leggi e sentenze che sono intervenute nel tempo.
APPROFONDIMENTI
I parcheggi infatti si possono suddividere in tre categorie, a seconda delle norme che li regolano: legge Ponte (765/67), legge Tognoli (122/89) e liberi (che non rientrano cioè nelle prime due categorie). Il decreto Semplificazioni (Dl 5/2012 articolo 10) ha modificato le possibilità di vendita dei "parcheggi Tognoli".
Questi sono costruiti successivamente alle unità immobiliari delle quali diventano pertinenza, e si dividono in due sottocategorie: privati e pubblici. I primi sono realizzati nel sottosuolo o al pianterreno di edifici privati (di proprietà individuale o condominiale) o nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne di proprietà privata. I secondi sono invece realizzati su superfici pubbliche, o nel loro sottosuolo, nell'ambito del programma urbano dei parcheggi (Pup): i Comuni concedono il diritto di superficie dell'area pubblica a imprese, società o cooperative di costruzioni che cedono ai privati i box, da destinare a pertinenza degli immobili.
La legge Tognoli prevedeva che tutti questi parcheggi non potessero essere venduti separatamente dalle abitazioni: anche perché, ad esempio, per realizzare i "Tognoli privati" la normativa prevede agevolazioni urbanistiche (deroga a piani regolatori e regolamenti edilizi) e civilistiche (la decisione può essere presa anche solo a maggioranza dei condomini). «I relativi atti di cessione sono nulli», recitava dunque l'articolo 9 comma 5 che ora è stato riscritto dal decreto Semplificazioni (convertito nella legge 35/2012). Il principio generale continua a essere lo stesso: i parcheggi devono essere ceduti insieme agli immobili di cui sono pertinenza. Si aprono però alcune eccezioni. «I Tognoli pubblici – spiega Ugo Friedmann, del Consiglio notarile di Milano – possono essere sciolti dall'immobile, se la possibilità era stata prevista nell'originaria convenzione stipulata con il Comune, oppure se questo ne autorizza la cessione separata. E pure un Tognoli privato si può vendere separatamente, ma solo se l'acquirente lo destina a pertinenza di un'altra unità immobiliare situata nello stesso Comune».
Come intendere quest'ultima regola? Una casa o un ufficio possono avere un parcheggio di pertinenza in un quartiere all'altro estremo del territorio comunale, senza alcun rapporto di vicinanza? «Qui c'è un punto di discussione – sottolinea Friedmann – perché occorre rispettare le norme civilistiche sulle pertinenze. Il parcheggio non deve essere a una distanza tale da impedire di considerarlo al servizio dell'unità immobiliare». Che per legge è la caratteristica del bene destinato a pertinenza di un altro bene. In ogni caso, come ha di recente confermato la Seconda sezione civile della Cassazione (sentenza 1664 del 3 febbraio 2012), restano liberamente cedibili i parcheggi realizzati in eccedenza agli standard fissati dalla legge Tognoli e specificamente individuati come tali.
Infine, la categoria dei parcheggi liberi – che anche se assoggettati a vincoli pertinenziali possono essere ceduti separatamente dall'abitazione – è eterogenea e comprende: spazi auto, box e garage costruiti dopo le unità immobiliari di cui sono pertinenza e non compresi tra i parcheggi Tognoli; quelli realizzati in forza di un titolo edilizio rilasciato prima dell'entrata in vigore della "legge ponte" (1° settembre 1967), o in eccedenza (opportunamente individuata) rispetto ai parametri da questa stessa norma stabiliti.
Posti auto, box e garage "ponte" (o standard) sono gli spazi per parcheggi realizzati obbligatoriamente nelle nuove costruzioni e nelle loro aree di pertinenza dopo l'entrata in vigore della legge Ponte 765/67 (così chiamata perché fece da collegamento tra la legge urbanistica 1150/42 e la legge 10/77, cosiddetta Bucalossi). Caratteristica prima di questi parcheggi è quella di essere stati edificati contestualmente al fabbricato dove si trovano le unità immobiliari, e in misura non inferiore a un metro quadro per ogni dieci metri cubi di costruzione (all'origine il parametro era di venti metri cubi, in seguito ridotto dalla legge Tognoli).
Secondo la giurisprudenza, i parcheggi standard sono liberamente trasferibili (chiunque può cioè esserne proprietario) ma sono gravati da un diritto reale d'uso a favore di chi abita l'edificio a servizio del quale sono stati realizzati. Significa che tra parcheggi e unità immobiliari condominiali c'è un vincolo di pertinenzialità inderogabile: i condòmini vantano, in proprietà esclusiva o in comunione, un diritto reale (proprietà, usufrutto o uso) e non personale, che consente loro di utilizzare i parcheggi. Questi circolano di regola insieme alle unità principali. Se la proprietà sui parcheggi viene quindi riservata al costruttore oppure viene ceduta a terzi, il contratto è parzialmente nullo, nella parte in cui non prevede almeno il diritto reale d'uso a favore dei condomini. Così fino al 2005. In quell'anno la legge 246 ha infatti escluso questi vincoli pertinenziali e ha stabilito la libera trasferibilità dei parcheggi standard. La Cassazione ha però precisato (sentenza n. 4264/2006) che la nuova disposizione si potesse applicare solo per il futuro, vale a dire per gli edifici non realizzati oppure per i quali, al momento dell'entrata in vigore della legge (16 dicembre 2005), non fossero ancora state stipulate le vendite delle singole unità immobiliari. Gli edifici già realizzati entro quella data e per i quali è stato perfezionato almeno un trasferimento (e che dunque possono essere considerati condomini) restano soggetti al vincolo di pertinenzialità e al diritto d'uso in favore degli abitanti (proprietari e conduttori) dell'edificio stesso.
L'intreccio di legislazione e interpretazione giurisprudenziale sulla materia, non semplice, deve insomma invitare a porre particolare attenzione nella compravendita delle aree a parcheggio e a verificarne la tipologia, meglio – consigliano i notai – con l'aiuto di un professionista. Perché, ad esempio, chi compra un box auto ponte anteriore allo spartiacque del 16 dicembre 2005 potrebbe vedersi contestare l'acquisto da un condomino privo di parcheggio.
La mediazione entra nel Condominio
Anche per il condominio
entra la mediazione obbligatoria introdotta dall’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28. Si tratta di un argomento che continua a presentare numerosi punti oscuri.
Condizione di procedibilità
Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio è tenuto preliminarmente ad
esperire un tentativo di conciliazione di fronte ad un organismo di mediazione accreditato presso il Ministero della Giustizia. Il tentativo di mediazione in materia di liti condominiali è condizione
di procedibilità per esperire l’azione giudiziale, quindi la parte che intende agire in giudizio ha l’onere di tentare prima la mediazione. Qualora il giudice rilevi, su eccezione di parte nella
prima difesa o d’ufficio entro la prima udienza che la mediazione non è stata tentata, fissa una nuova udienza dopo la scadenza del termine massimo per la mediazione (quattro mesi) in modo da
consentirne lo svolgimento.
Cause condominiali
Sono sottoposte al tentativo preliminare di mediazione, le cause civili in materia condominiale riguardanti: le questioni riguardanti le
spese di gestione e la loro ripartizione; il regolamento di condominio, l’approvazione e la revisione delle tabelle millesimali; l’amministrazione condominiale, il diritto di soprelevazione del
proprietario dell’ultimo piano e l’utilizzo dei beni condominiali da parte di condomini, le innovazioni e le impugnazioni delle delibere condominiali.
Partecipazione alla mediazione
Rispetto ad altre mediazioni è bene notare che quelle in materia di diritti condominiali presentano alcune specificità, che
rendono difficile l’applicazione delle relative norme. Infatti, il condominio è costituito da un complesso di persone e non da un unico soggetto, pertanto l’approvazione dell’accordo conciliativo
dovrebbe avvenire obbligatoriamente, attraverso una delibera assembleare di ratifica. Ulteriore problema è dato dalla partecipazione del condominio al procedimento che avviene attraverso
l’amministratore pro-tempore. L’accordo conciliativo stipulato dall’amministratore dovrà essere successivamente approvato da parte dell’assemblea.
Approvazione dell’assemblea
L’accordo raggiunto deve essere approvato dall’assemblea dei condomini ritualmente convocata. Non è chiaro però quale debba essere
il quorum necessario per l’approvazione dell’accordo. A ben vedere si tratta di una transazione tra privati avente come scopo quello di porre fine ad una lite già incominciata. Se accettiamo tale
ricostruzione, dobbiamo ricordare che la giurisprudenza ha affermato che l’accordo transattivo che incide sui diritti dei singoli condomini presuppone il consenso di tutti i partecipanti, con la
conseguenza che dovrà considerarsi insufficiente una delibera approvata solo dalla maggioranza (Cassazione 24 febbraio 2006, n. 4258). Se invece l’accordo conciliativo riguarda la ripartizione delle
spese è ammissibile l’approvazione a maggioranza.
Da attenti lettori staremo a vedere cosa succede
Cassazione Civile, Sez. VI (Ord.) 20.06.2011 n. 13552: La competenza per valore nelle impugnazioni delle deliberazioni assembleari
In tema di condominio, nel caso in cui venga contestata in toto la legittimità della deliberazione assembleare impugnata per ragioni come la mancata convocazione e l'indeterminabilità dell'oggetto, con conseguente integrale invalidità, non trova applicazione, in materia di competenza per valore, il recente orientamento secondo il quale "ai fini della determinazione della competenza per valore in relazione, ad una controversia avente ad oggetto il riparto di una spesa approvata dall'assemblea di condominio, anche se il condomino agisce per sentir dichiarare l'inesistenza del suo obbligo di pagamento sull'assunto dell'invalidità della deliberazione assembleare, bisogna far riferimento all'importo contestato relativamente alla sua singola obbligazione e non all'intero ammontare risultante dal riparto approvato dall'assemblea, poichè, in generale, allo scopo dell'individuazione della competenza, occorre porre riguardo al thema decidendum, invece che al quid disputandum, per cui l'accertamento di un rapporto che costituisce la causa petendi della domanda, in quanto attiene a questione pregiudiziale della quale il giudice può conoscere in via incidentale, non influisce sull'interpretazione e qualificazione dell'oggetto della domanda principale e, conseguentemente, sul valore della causa"
direttore lavori: la Cassazione fa il punto
La sentenza della Quarta Sezione della Corte di Cassazione Penale, n. 28613 del 6 luglio 2015, interviene sul complesso sistema di responsabilità per la sicurezza in cantiere e offre una serie di importanti indicazioni sui ruoli e le responsabilità dei soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nella prevenzione dei rischi. Determinante, nella pronuncia che conferma la condanna del ricorrente, il fatto che tale soggetto sia indicato nel Pos come “direttore di cantiere”.
L’infortunio
L’infortunio è avvenuto in un cantiere di opere edili per la realizzazione di una strada, a cura di un’impresa affidataria, in regime di subappalto, dei lavori in cemento armato eseguiti sulla sommità di una spalla di cemento, alta circa sei metri sul piano di campagna, senza la predisposizione di protezioni per prevenire le cadute dall’alto.
Un operaio dipendente dell’impresa, addetto al taglio di tavole di legno e alla consegna delle stesse tramite una scala a pioli in ferro ai carpentieri impegnati nel livello più alto della spalla di cemento, nello scendere dalla scala era precipitato dal secondo gradone a quello inferiore a causa del ribaltamento della scala, che si era distaccata dal gradone cui era appoggiata, non essendo fissata con il filo di ferro agli spuntoni metallici che uscivano dalla parte superiore dell’armatura.
L’infortunato aveva, poi, dichiarato di non aver mai ricevuto istruzioni sull’uso dell’elmetto (al momento dell’infortunio ne indossava uno privo di mentoniera che gli si era sfilato dal capo durante la caduta) e della cintura di sicurezza e, più in generale, istruzioni per la prevenzione degli infortuni.
Il Pos e il contesto organizzativo
Secondo il verbale dell’Ispettorato del lavoro, l’evento si era verificato perché non erano state attuate le misure di prevenzione previste nel Piano operativo di sicurezza; di conseguenza, il soggetto indicato nel Pos come direttore di cantiere e responsabile del servizio di prevenzione e protezione, fu ritenuto responsabile della mancata attuazione delle misure relative ai lavori da eseguirsi da un altezza superiore ai due metri e, quindi, delle lesioni riportate dal dipendente a seguito della caduta.
I giudici di merito non ritennero rilevante il fatto che l’imputato, al momento dell’infortunio, non fosse più dipendente dell’impresa, né direttore tecnico, direttore di cantiere o dirigente, né svolgesse in concreto tali poteri, né fosse privo di espressa e formale delega di funzioni, quale alter ego del datore di lavoro e nemmeno che avesse delegato un “preposto alla sicurezza”, che però alla data dell’infortunio era assente da tempo dal cantiere. Furono ritenute sufficienti, come prove del ruolo attribuitogli, le testimonianze dell’infortunato e del nominato preposto alla sicurezza e soprattutto quanto indicato nel Pos redatto al tempo dell’infortunio, a prescindere dalle modifiche successive; infatti, rileva la sentenza, ogni cambiamento riguardo alle qualifiche indicate nel POS deve essere necessariamente comunicato all’impresa appaltante e nel caso in esame non fu fatto.
A proposito del valore probatorio delle testimonianze, è interessante il richiamo al principio giurisprudenziale secondo il quale le dichiarazioni della persona offesa da sole possono essere poste a base di una dichiarazione di responsabilità dell’imputato, e che non è affatto necessaria una verifica di attendibilità attraverso il riscontro con altre fonti probatorie … tuttavia esse possono non essere considerate sufficienti o idonee quando sono contrastate da altri elementi probatori in maniera inequivocabile tali da renderle inattendibili.
In riferimento a tali testimonianze, la Corte argomenta che a seguito del sostanziale abbandono del cantiere da parte del preposto alla sicurezza, delegato proprio dall’imputato, quest’ultimo doveva ritenersi il referente per la sicurezza … non perché fosse anche il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, quanto per la sua qualifica di “direttore del cantiere”.
Direttore di cantiere, direttore tecnico di cantiere e direttori lavori
La sentenza precisa che la qualifica “direttore di cantiere”, indicata nel Pos, è assimilabile a quella di “direttore tecnico di cantiere”, entrambe, però, non riconducibili alla figura di “direttore dei lavori”.
Il direttore lavori è nominato dal committente e svolge normalmente una attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente all’esecuzione del progetto nell’interesse di questi.
Il direttore di cantiere o Direttore tecnico di cantiere è una figura apicale che implica, invece, la titolarità di una autonoma posizione di garanzia in considerazione del suo ruolo dirigenziale descritto dal Codice degli appalti (D.Lgs n. 163/2006):
è incaricato dell’organizzazione, della gestione e della conduzione del cantiere,
mantiene i rapporti con la Direzione dei lavori,
coordina e segue l’esecuzione delle prestazioni in contratto e sovrintende all’adattamento, all’applicazione e all’osservanza dei piani di sicurezza;
è responsabile del rispetto del piano di sicurezza da parte di tutte le imprese impegnate nell’esecuzione dei lavori.
Il direttore di cantiere è un dirigente
La sentenza Cass. IV, n. 43628 del 24 novembre 2011 inquadra il Direttore tecnico di cantiere, ai fini dell’applicazione delle norme in materia di tutela della salute e sulla sicurezza sul lavoro, nel modello legale del dirigente, come definito dal D.Lgs n. 81/2008 (allegato XV punto 3.2.1, comma a), facendo così assumere al soggetto che riveste tale ruolo una posizione di garanzia nei riguardi dei lavoratori operanti in cantiere. Tale
La Cassazione ha recentemente chiarito le facoltà concesse dalla legge all’amministratore nell’esercizio dei suoi poteri, tra cui rientra quella di nominare un legale a difesa del condominio
La materia condominiale, vista la pluralità e la peculiarità dei rapporti che è chiamata a regolare, continua ad essere oggetto di numerose controversie che, nonostante l’ introduzione della mediazione obbligatoria come condizione di procedibilità per accedere al giudizio, finiscono spesso sui tavoli dei giudici, sia di merito che di legittimità.
In particolare, oggi ci occuperemo di comprendere cosa succede nel caso in cui l’ amministratore nomini un legale di sua fiducia senza chiedere, preventivamente, l’ autorizzazione dell’ assemblea condominiale.
Proprio di recente la Cassazione, con la sentenza n. 8309 pubblicata il 23 aprile 2015, ha espresso un preciso e dettagliato orientamento in base al quale non occorre una delibera dell’assemblea condominiale per la nomina di un difensore, per cui l’amministratore può incaricare un avvocato di fiducia senza bisogno di alcuna autorizzazione, né preventiva, né successiva.
Infatti, confermando un suo costante orientamento, la Suprema Corte ha ribadito che l’amministratore, nell’esercizio dei suoi poteri di rappresentanza processuale ad agire e a resistere non ha bisogno di alcuna autorizzazione dell’assemblea, ciò in conformità con la ratio della recente riforma condominiale con la quale sono state ampliate la sfera delle competenze e delle responsabilità dell’amministratore stesso.
I giudici di legittimità hanno testualmente affermato che “in tema di condominio negli edifici, l’ amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso”. (Cass. n. 1451 del 2014; Cass. n. 27292 del 2005).
In definitiva, quindi, l’ amministratore può conferire direttamente mandato ad un avvocato di sua fiducia per agire o resistere a un decreto ingiuntivo sul pagamento degli oneri condominiali, o al giudizio per far osservare il regolamento, o all’impugnativa di una decisione assembleare, oppure al fine di sperare nella ratifica riguardo ad un procedimento cautelare volto a conservare le parti comuni dello stabile.
L’ unico rimedio del quale possono avvalersi i condomini che non siano d’ accordo sulla decisione presa dall’ amministratore, è il dissenso rispetto alle liti, previsto dall’ art. 1132 c.c., a norma del quale “Qualora l’assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all’amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L’atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione.
Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa.
Se l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente”.
L’ atto di dissenso deve essere notificato all’ amministratore a mezzo ufficiale giudiziario o tramite raccomandata a/r, o direttamente espresso nel verbale dell’ assemblea se il condomino che vuole avvalersene vi ha partecipato.
In caso di soccombenza del condominio in giudizio, il condomino dissenziente non è tenuto ad effettuare esborsi alla parte vittoriosa, mentre graveranno anche sullo stesso, le spese che non si è riusciti ad ottenere dalla controparte, dovute in conseguenza del risultato positivo della lite per il condominio, in quanto anche egli gode dei vantaggi della vittoria.
Diversamente, nell’ipotesi di una domanda diretta non alla difesa della proprietà comune dei condomini, ma alla sua estensione (si pensi al caso in cui si chieda al giudice una sentenza che dichiari l’appartenenza al condominio di un’area adiacente al fabbricato condominiale, in quanto acquistata per usucapione).
Nel suddetto caso, la questione non è circoscritta soltanto all’accrescimento del diritto di comproprietà, ma riguarda anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati. Pertanto, il conferimento del mandato all’avvocato, in casi come questo, esorbita dai poteri di rappresentanza sia dell’assemblea che dell’amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino. (Cass. sent. n. 21826/2013).
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